Chiedimelo tra cent'anni

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    My heart is waiting, and breaking to return to burn with you tonight...

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    Arrancava...
    Come se avesse dieci mecigni sulla schiena, arrancava, neanche la forza di emettere un lamento.

    ...e le luci?
    Dove erano andate le luci?

    In un tentativo di capire, o di vedere, tentó di agitare le braccia, per tentare di toccare qualcosa, una parete, una sedia, un'altra persona...
    Non poteva capire, vedere... non sapeva dove stesse andando.

    Andare...

    Come puó essere? Io non... io non sto camminando... pensó. Ed era vero. Non sentiva movimento, e non sentiva le gambe.
    ...eppure continuava ad andare, non sapendo dove. E si rese conto che prima, mentre muoveva le braccia, non aveva sentito l'aria muoversi. Non l'aveva sentito sulla pelle.

    Forse... forse non sono qui si disse.
    Un lampo squarció qualcosa. In fondo, molto, molto in fondo, a settimane di viaggio da lí, e il nulla frapposto. Una luce per lui cosí debole. Cosí debole da non illuminare quasi nulla, ma risoluta, potente... pericolosa. Non aveva sentito niente. Non poteva... ma sapeva che qualcosa aveva urlato.
    Si portó d'istinto le braccia attorno al corpo, abbracciandosi.

    Nulla...

    Non c'era nulla.
    Le braccia, il torso, non erano lí.

    Non puó essere si disse. Sentiva il senno che cominciava ad incrinarsi poco alla volta, come uno specchio sbeccato al bordo, e una mano che vi preme contro sempre piú forte.
    Voleva cadere in ginocchio, ma le ginocchia non erano lí. Voleva abbandonare il peso che aveva legato sulle spalle, ma non era piú sicuro ci fosse qualcosa. E piú di tutto sentiva di voler piangere, e per la prima volta si rese conto di quanto gli mancava il pianto, come se per tutta la vita avesse creduto che fosse per deboli, come il pianto di chi non sa che troppo pianto logora.
    Avrebbe dato qualsiasi cosa per portarsi le mani al viso, e sentire le lacrime scivolare attraverso le dita. E in un momento di puro istinto, lo fece. Porto su le braccia e coprí gli occhi. Gli occhi, che non avrebbero dovuto essere lí, e per uno strano motivo c'erano, e con essi il resto del viso.

    Il sollievo lo inondó.
    Esisto, allora... io sono qui... si disse, cullandosi.
    Ma era diverso...
    C'erano solchi... solchi profondi sulla pelle. Infiniti dirupi, che seguí con le dita, dipanandosí all'infinito.
    Si disse che qualcuno l'aveva ferito, che era stato sfigurato per sempre, e si disse anche che sapeva non fosse vero.
    Non c'era sangue, non c'era cicatrice, non c'era nessun aggressore.

    Improvvisamente qualcosa gli sfioró il gomito destro. Sobbalzó, ma guidato dallo stesso istinto, stese il braccio, e sferzó l'aria, finché non fu in grado di afferrare qualcosa.
    Era liscio, ma non completamente. A tratti ruvido, ma mai tanto da ferire. Fluttuava, nel nulla...
    É legno... questo... é legno... realizzó.
    Continuó a scorrere la mano sulla superficie, fino al bordo. Contrastando la voglia di lasciare andare, ruotó il palmo verso l'alto, e continuó ad esplorare il lato opposto.
    Era molto meno levigato, come se qualcuno avesse dimenticato di trattare quella parte. Non era piacevole come la superficie superiore, ma non poteva staccarsene. Era come se avesse giá fatto prima quello che stava facendo in quel momento.
    Trovó un angolo, e cominció a cercare qualcosa.
    Un altro lampo. Forse l'aveva immaginato, ma sembrava piú forte.
    In un momento di ricerca forsennata, esasperó i polpastrelli per trovare un altro angolo, seguendo il bordo. Lo trovó dopo poco, e le dita finirono su qualcosa. Un incavo... alcune ferite nel legno. Un'incisione. La seguí attentamente, cercando di capire cosa fosse.

    E capí.

    E il cuore gli annegó nel petto.

    Un piccolo cerchio, con un sorriso stilizzato dentro. Come quello che aveva scoperto e toccava sempre quando si sentiva annoiato, durante le lezioni di Storia della Magia.

    Era il suo banco.
    Quanto tempo era passato? Anni? Decenni? No. Non cosí tanto. Afferró uno dei lati, e strinse la mano, per testare la durezza del legno. Forte e resistente come la prima volta che si era seduto a lezione.

    E allora successe.
    Un altro lampo. Piú forte, cattivo, squarció l'infinito, e il banco esplose in miliardi di schegge, con una violenza tale da disintegrare la pelle, se non fosse che immediatamente dopo la deflagrazione, tutto il legno si dissolse in una nube di cenere, e svaní silenzioso, cosí come era arrivato.

    E si sentí morire, perché sapeva cosa era successo.
    Era il tempo. Il tempo aveva distrutto il suo banco. Il tempo aveva distrutto lui... la sua pelle... il suo viso...
    Non era ferito, eppure moriva, lentamente.
    Un altro lampo, questa volta eterno, infinitamente luminoso, e vide.
    Una torre, una moltitudine di finestre. Nessuna luce.
    Tutto era morto.

    Tutto tranne il lampo, pura rabbia.

    "Cosa... vuoi... da me?!?" urló, o almeno cercó di urlare.
    Un debole sussurro sforzato era tutto quello che riuscí ad emettere, con la parvenza di una voce che non era piú la sua.
    Un violino nella tempesta. Nessuno poteva sentirlo.
    Eppure si sbagliava.

    Il cielo tuonó.

    Tu
    hai
    dimenticato

    La voce di sua madre... le voci di sua madre...
    Dolore, tristezza, rabbia. Un dedalo intricato di emozioni distruttive.

    Tu
    hai
    abbandonato

    Il vento ululava contro il fianco della montagna, strappando le foglie agli alberi.
    E il mare... il mare era cosí denso di tormento che nessuna nave al mondo sarebbe stata mai piú al sicuro.

    Non poteva essere sua madre. Lo sapeva. Era qualcuno di diverso. Tre voci diverse.

    Per cent'anni tosto hai vagato
    per cent'anni mai hai sperato
    e il cuore a tergo della mente avvizzita hai celato

    Le streghe, potenti, maestose, antiche.
    Le streghe lo maledicevano, per le sue scelte vacue.
    Lui, l'ombra di un uomo al capolinea di una vita vissuta nel vuoto.
    Lui, che aveva condannato a morte l'universo.

    Un altro lampo. La torre crollava, sotto il peso della colpa.
    Le urla... le urla non erano di quel tempo, strazianti.
    Le tempesta gli feriva il volto, gli pugnalava gli occhi.

    E prima che se ne accorgesse era tutto passato... Il vento, il lampo... la paura.
    Anche il suo viso svaní, non prima di venir rigato per l'ultima volta da una singola, ultima, lenta lacrima.

    E l'oscuritá fece ritorno...

    ---------------------------------------------------------------------



    Matt si sveglió di soprassalto. Il viso imperlato di sudore, il respiro affannoso. Il cuore gli batteva in petto come se volesse schizzare via.
    Si guardó intorno, e si rese conto che la finestra era spalancata. Alcune foglie secche erano riverse sul pavimento. Forse il vento aveva soffiato forte... forse aveva dimenticato di chiuderla.
    Mise i piedi per terra e si tiró su, camminando verso la finestra. Per un paio di secondi provó difficoltá a restare bene in equilibrio.
    Si affacció al davanzale, cercando di mettere a fuoco. Non si vedeva molto della cittá dal terzo piano, ma sentiva il traffico, che anche a quell'ora tarda riempiva le strade.
    Era strano, perché continuava a sudare, e quella non era per niente una notte calda.
    Chiuse gli occhi, e cercó di rilassarsi.
    Rimase fermo per un paio di minuti, finché non riaprí gli occhi e guardó in alto.
    Sentiva l'odore del mare...

    Un battito, lo riportó alla realtá, il familiare ritmo di due alette delicate, e sapendo bene di cosa si trattasse, si spostó lasciando atterrare il piccolo Ílio, la civetta delle nevi della sua amica Leith, che viveva in un appartamento a pochi isolati da lí.
    Ílio era sempre stato un po' impacciato, probabilmente per via dell'aver sempre avuto una crescita stranamente lenta. Aveva un piccolo rotolo di pergamena legato alla zampa sinistra.

    Matt slacció il nastro sottile e lesse quello che Leith gli aveva scritto. Non si stupí, perché l'empatia della ragazza era forse la piú forte tra tutte quelle in cui lui si era imbattuto, negli anni.

    Ho i brividi, e sento che qualcosa non va.
    Stai bene? L.



    Posó il rotolo sul comodino, prese una penna e inizio a scriverle che tutto andava bene, e che non c'era nulla di cui preoccuparsi.
    Da quando si erano conosciuti, i due avevano sviluppato un legame emotivo molto particolare, e Leith a volte si preoccupava troppo anche per uno starnuto.

    Si interruppe a metá messaggio.
    Cercó con lo sguardo il grande armadio a muro, dove aveva riposto tutti i suoi bauli, compagni di avventure nel tempo. Sospiró, poi volse di nuovo lo sguardo al cielo terso, fuori la finestra, poi di nuovo all'armadio.

    Posó di nuovo la penna, si diresse verso il mobile e tiró fuori le valigie. Ripose tutto sul letto e aprí la piú minuta, rivelando il sottile scatolino rettangolare dove riposava la sua bacchetta. Ci posó sopra la mano, e inspiró a fondo. Di nuovo, sentiva l'odore del mare. Aveva veramente tanta voglia di riempire quei bauli.
    Tornó al messaggio, tiró diverse linee orizzontali sopra quello che aveva scritto e rilesse quello che Leigh gli aveva chiesto.

    Stai bene?



    Matt sorrise, pensó al mare, e a quanto tempo ci sarebbe voluto per fare le valigie, e con moto di penna sinuoso e veloce replicó

    Chiedimelo tra cent'anni. M.




    Finché continueremo a sognare
    nulla sará mai veramente dimenticato 😘
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